Detto immobile fiscalizzato può ottenere certificato di conformità urbanistica? È possibile presentare pratica edilizia per manutenzione straordinaria per opere interne ed opere relative il miglioramento energetico dell’immobile (cappotto termico)?
Risposta a cura di Avv. E. Fumagalli, Sportello Diritto Amministrativo
Il quesito riguarda un immobile realizzato in parziale difformità dal titolo edilizio per “una diversa posizione e diverso orientamento con distanze dai confini inferiori ai 5 m” e sottoposto alla c.d. fiscalizzazione disciplinata dall’art. 34.2 DPR 380/2001 il quale, nei casi come quello in esame, prevede che: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione Civile “l'immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, [che] abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione”, diversamente dall’immobile realizzato in assenza di titolo edilizio, o in totale difformità dallo stesso, è commerciabile ed il relativo atto di trasferimento è valido ed efficace (Cassazione civile, sez. II, 14 maggio 2018, n. 11659; Cassazione civile, sez. II, 29 novembre 2017, n. 28626; Cassazione civile, sez. II, 9 dicembre 2015, n. 24852; Cassazione civile, sez. II, 7 aprile 2014, n. 8081; Cassazione civile, sez. II, 18 settembre 2009, n. 20258).
In ragione di quanto sopra, se risulta pienamente commerciabile un immobile realizzato in parziale difformità del titolo edilizio, a maggior ragione non dovrebbe esservi alcuna preclusione alla commerciabilità di un immobile per il quale si è proceduto alla “fiscalizzazione” dell’abuso.
Il quesito prosegue domandando se l’immobile in questione potrebbe ottenere “certificato di conformità urbanistica”.
Per rispondere al quesito occorre anzitutto chiedersi se l’istituto della così detta “fiscalizzazione dell’abuso”, nel totale silenzio della legge, possa o meno essere parificato ad una sanatoria.
Sul punto si rilevano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Secondo un primo e più rigoroso orientamento: “i presupposti (normativi ed ermeneutici) dell'istituto della fiscalizzazione dell'illecito edilizio si pongono … su un piano ontologicamente diverso da quelli della sanatoria sia perché esso trova il proprio fondamento nella impossibilità di rimuovere le conseguenze dell'illecito senza creare danni irreparabili alla parte di edificio eseguita in conformità al permesso a costruire sia perché il pagamento della sanzioni pecuniarie, se esclude che opere edilizie abusive possano essere legittimamente demolite, non ne rimuove, però, il carattere antigiuridico (Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2011, n. 5412)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2799; in senso analogo, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 352; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 3 aprile 2018, n. 285; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 3 maggio 2017, n. 2368).
Su detti presupposti, secondo detto orientamento, la fiscalizzazione “… lascia immutata la valenza antigiuridica del manufatto realizzato, di talché permane il suo status di res illegittima, configurandosi, pertanto, una categoria di beni che, pur urbanisticamente tollerati, non sono ammessi ad una legittimazione successiva e rispetto ai quali il legislatore sembra aver voluto mantenere, sin dalla legge n. 47 del 1985, il contrasto formale e sostanziale con la normativa urbanistica” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2011, n. 5412).
Sul fronte opposto, invece, è stato affermato il principio secondo cui l’applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 34, comma 2, DPR 380/2001, “viene a costituire, in sostanza, un'ipotesi ulteriore di sanatoria, denominata di solito <<fiscalizzazione dell'abuso>>" (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1481; in senso analogo, Cons. Stato Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1476; TAR Campania, Napoli, sez. II, 23 giugno 2017, n. 3439; nonché, seppur affermato incidenter tantum: TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 12 giugno 2020, n. 450; TAR Lazio, Latina, sez. I, 15 giugno 2017, n. 358).
Detto ciò, sia che possano considerarsi come “sanate” sia che invece debbano essere ritenute come meramente “tollerate”, le opere oggetto di fiscalizzazione possono comunque essere mantenute nello stato in cui versano, per cui nel “certificato di conformità urbanistica” sarà sufficiente dare atto di ciò, senza dover prendere né l’una né l’altra posizione, ma semplicemente descrivendo lo stato dell’arte.
Quanto alla questione afferente alla possibilità di realizzare legittimamente un intervento di manutenzione straordinaria quale l’installazione del cappotto termico sull’immobile in questione, si ricorda che <<per costante giurisprudenza "in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione>> (Consiglio di Stato, sez. II, 5 dicembre 2019, n. 8314; TAR Lombardia, sez. II, Milano, 15 settembre 2016, n. 167).
Alla luce di quanto sopra, ove si volesse aderire all’orientamento secondo cui la “fiscalizzazione” deve essere interpretata come una particolare tipologia di sanatoria, il problema di poter realizzare interventi manutentivi sull’immobile neppure si porrebbe.
Ove invece si aderisse all’altro orientamento e si escludesse che la c.d. fiscalizzazione produca i medesimi effetti della sanatoria, il dubbio circa la possibilità di effettuare interventi manutentivi potrebbe sorgere.
In assenza di specifici precedenti giurisprudenziali sul punto, si può osservare che, escludere la possibilità per il titolare di un immobile, che presenta parziali difformità rispetto al titolo e per il quale sia stata pagata la sanzione pecuniaria sostitutiva della rimessione in pristino, di eseguire interventi che, non solo non aggravino l’abuso, ma siano volti esclusivamente alla conservazione del bene, non solo non sarebbe ragionevole, ma anche si porrebbe in contrasto con il diritto ad intervenire per mantenere e tutelare la proprietà anche delle parti dell’immobile stesso che sono state perfettamente assentite e che il proprietario ha il pieno diritto di mantenere in piena efficienza.
Ragioni di buon senso inducono quindi a ritenere che, a fronte di una “fiscalizzazione” dell’abuso, che si ricorda riguarda solo parziali difformità dal titolo e quindi interventi minori, sia consentito eseguire interventi edilizi, come quelli indicati nel quesito.
Ogni valutazione va poi fatta caso per caso in funzione delle specifiche opere “fiscalizzate” e dei lavori che si intenderebbe effettuare, atteso che questi ultimi non possono certamente essere tali da costituire un completamento della parte oggetto di fiscalizzazione o una trasformazione della stessa.
Aggiornato al 12/10/2020